mercoledì 19 maggio 2010

CONCERTO ROCK A QUINTO ROMANO



CONCERTO ROCK A QUINTO ROMANO
SABATO 22 MAGGIO PRESSO LA CORTE DI PIAZZA MADONNA DELLA PROVVIDENZA, N° 1 DALLE ORE 16,
ORGANIZZATO DAL CENTRO SERVIZI IMMATERIALI - PROGETTO CRISTALLO DELLA COOPERATIVA EDIFICATRICE FERRUCCIO DEGRADI E DAL MOVIMENTO CRISTIANI LAVORATORI

domenica 16 maggio 2010

Corruttore e corrotto, abbraccio mortale

Si è creato un groviglio tra corrotti e corruttori dal quali gli italiani difficilmente ne usciranno.
Se continuiamo ad utilizzare la categoria della corruzione non riusciamo a comprendere fino in fondo quello che è accaduto in questi ultimi venti, trenta anni in tutti i settori della società. Per comprendere e forse per iniziare ad individuare della soluzioni bisogna utilizzare categorie di interpretazione quali quella della manipolazione.
Quando parliamo di corruzione l’associamo a quella del reato commesso. Un reato commesso contravvenendo a divieti di legge. La corruzione non viene letta come un reato contro la società, ma come qualcosa commesso superando i limiti consentiti dalla legge.
Ma se la corruzione la leggiamo come manipolazione la cosa assume maggiore complessità e drammaticità.
Il corruttore è un manipolatore. Anzi il manipolatore è sempre un corruttore, perché appunto corrompere gli altri ai suoi fini che non dichiara; i suoi fini vengono tenuti nascosti. E i suoi fini, quelli del manipolatore, sono anche molto semplici: ad esempio quello della sopravvivenza quotidiana.
Quindi si è creata una situazione perversa dove il manipolato è a sua volta manipolatore di altri manipolati. Una catena senza interruzione dove tutti sono dentro ad una orgia perversa di legami dove il manipolatore e il manipolato si tengono insieme senza mai dichiararsi. La domanda che dobbiamo porci è perché stanno insieme, qual' è il loro “scambio”?
L’umanità ha sempre praticato il gioco della manipolazione, esso era ed è dentro il sistema di potere. Ma mai come nella società industriale ha avuto una tale diffusione. Prima dell’industrializzazione la manipolazione era riservata ai cortigiani con delle estensioni alle corporazioni di mestiere.
Solo con l’industrializzazione abbiamo avuto questo fenomeno che si è diffuso in modo ancora più subdolo ed è diventato di massa con il consumismo. Poiché per consumare bisogna tenere il consumatore in un perenne stato di insoddisfazione del desiderio, la manipolazione è costante e diffusa ovunque. Il popolo italiano è uno dei popoli che consuma di più prodotti effimeri, superflui e al quale il sistema gli deve creare una grande illusione; sembra sempre che debba accadere qualcosa che non accade mai. Tutto viene rimandato ad una soluzione finale che mai verrà, ma comunque intanto da una parte crea l’illusione e dall’altro l’astrazione dalla realtà.
Una realtà invece, che molto semplicemente e duramente ha un solo meccanismo imperante: produrre, consumare e crepare!
Questo imperativo è alimentato e doppato dalla corruzione e la manipolazione serve a non interrompere il meccanismo. Mai.

domenica 2 maggio 2010

Primo maggio una festa religiosa

Nel corso della storia il primo maggio ha avuto significati diversi, ma quello che lo ha lungamente contraddistinto era la festa del mondo del lavoro che per un giorno, solo per un giorno, si liberava dalla costrizione del lavoro.
I regimi comunisti hanno reso il primo maggio una festa liturgica dove sfilavano inquadrati i lavoratori sotto gli sguardi attenti dei loro capi politici che li salutavano da lontano sopra i palchi.
In questi regimi, gli uomini e le donne, erano costretti a lavorare: nelle costituzioni socialiste più che il diritto al lavoro c’era l’obbligo del lavoro presentato con una buona dose di retorica ideologica e il primo maggio bisognava anche dimostrare che si era contenti di lavorare. Questa solo in apparenza, perché poi si è scoperto quanto bassi erano i livelli produttivi, dopo il boom dell’industria pesante e il fallimento completo di quei sistemi economici che non erano assolutamente mai passati a forme di proprietà collettiva anzi la nomenclatura al potere teneva saldamente nelle proprie mani, con la gestione dello Stato, i mezzi di produzione.
Oggi, in Italia, il primo maggio festeggiamo un lavoro che c’è sempre di meno e che ne vorremo di più, oppure ne festeggiamo ancora il senso originario: liberarsi almeno per un giorno dalle catene di chi ci obbliga a lavorare?
Anche la ritualità ha trasformato il significato del primo maggio. Non la ritualità in sé, ma il fatto che da manifestazione di piazza si è passati al mega-concerto musicale organizzato dai sindacati ne ha trasformato il significato: è un giorno di festa dei lavoratori, di chi il lavoro non c’è l’ha e vuole lavorare oppure è una festa di liberazione dal lavoro? Non si capisce più. Certo la musica è un grande e potente veicolo di comunicazione, ma qual è il messaggio che veicola? E qui la risposta, come prima, è un buio totale oppure ognuno dà la propria risposta.
Ma anche il metodo trasmette significato. Tenere mega-concerti distanzia ancora di più chi è sul palco da chi è sotto il palco. Per non parlare poi di quando salgono sul palco tre attempati signori che del lavoro che fanno quelli che stanno sotto il palco lo avranno letto su qualche libro, la distanza e il senso di estraneità aumenta ancora di più.
Ed aumenta ancora di più questo senso di estraneità il giorno dopo l’evento. Il giorno dopo ci si sente soli e impotenti più di prima.
Ma come è possibile pensare che incontrarsi in migliaia e migliaia di sconosciuti si possano stabilire relazioni significative da determinare un cambiamento? Ma infatti gli organizzatori di questi eventi non lo pensano, quello a cui sono interessati è di veicolare un messaggio che diventa sempre più astratto perdendosi in una sorta di religiosità come la fede in una divinità superiore. Così come facevano i capi dei regimi comunisti: distanza tra chi del lavoro ne parla e chi il lavoro lo fa per davvero.
La differenza con gli anni ’50 sta nel fatto che sempre maggiore è la consapevolezza che il lavoro per alcuni è possibile sceglierlo e determinarlo e non importa che sia flessibile o geograficamente lontano, mentre per molti altri diventa un obbligo, una costrizione. Per alcuni non si tratta di lavoro ma di mestiere ( il lavoro è industriale, il mestiere è artigianale) che attraverso il quale si realizzano e affermano a se stessi e agli altri che esistono, che hanno qualcosa da “dare” al mondo, per molti altri invece il lavoro rappresenta la totale spersonalizzazione di se stessi e serve solo per pagare le bollette, l’affitto, le cambiali, gli alimenti ai figli, ma ne farebbero volentieri a meno.
Cresce anche la coscienza che esiste un blocco sociale e di potere che fa quadrato intorno all’idea che il lavoro “manca”, che si debbano fare solo alcuni lavori, perché altri sono riservati ai gruppi di “comando” e ai loro figli o parenti. E’ di questo che dobbiamo discutere in Italia, ed è su questo che dobbiamo aprire per davvero il conflitto: tra chi tiene ristretto il campo del lavoro “bello” per se e chi invece è costretto a fare qualsiasi lavoro pur di mantenersi.