domenica 2 maggio 2010

Primo maggio una festa religiosa

Nel corso della storia il primo maggio ha avuto significati diversi, ma quello che lo ha lungamente contraddistinto era la festa del mondo del lavoro che per un giorno, solo per un giorno, si liberava dalla costrizione del lavoro.
I regimi comunisti hanno reso il primo maggio una festa liturgica dove sfilavano inquadrati i lavoratori sotto gli sguardi attenti dei loro capi politici che li salutavano da lontano sopra i palchi.
In questi regimi, gli uomini e le donne, erano costretti a lavorare: nelle costituzioni socialiste più che il diritto al lavoro c’era l’obbligo del lavoro presentato con una buona dose di retorica ideologica e il primo maggio bisognava anche dimostrare che si era contenti di lavorare. Questa solo in apparenza, perché poi si è scoperto quanto bassi erano i livelli produttivi, dopo il boom dell’industria pesante e il fallimento completo di quei sistemi economici che non erano assolutamente mai passati a forme di proprietà collettiva anzi la nomenclatura al potere teneva saldamente nelle proprie mani, con la gestione dello Stato, i mezzi di produzione.
Oggi, in Italia, il primo maggio festeggiamo un lavoro che c’è sempre di meno e che ne vorremo di più, oppure ne festeggiamo ancora il senso originario: liberarsi almeno per un giorno dalle catene di chi ci obbliga a lavorare?
Anche la ritualità ha trasformato il significato del primo maggio. Non la ritualità in sé, ma il fatto che da manifestazione di piazza si è passati al mega-concerto musicale organizzato dai sindacati ne ha trasformato il significato: è un giorno di festa dei lavoratori, di chi il lavoro non c’è l’ha e vuole lavorare oppure è una festa di liberazione dal lavoro? Non si capisce più. Certo la musica è un grande e potente veicolo di comunicazione, ma qual è il messaggio che veicola? E qui la risposta, come prima, è un buio totale oppure ognuno dà la propria risposta.
Ma anche il metodo trasmette significato. Tenere mega-concerti distanzia ancora di più chi è sul palco da chi è sotto il palco. Per non parlare poi di quando salgono sul palco tre attempati signori che del lavoro che fanno quelli che stanno sotto il palco lo avranno letto su qualche libro, la distanza e il senso di estraneità aumenta ancora di più.
Ed aumenta ancora di più questo senso di estraneità il giorno dopo l’evento. Il giorno dopo ci si sente soli e impotenti più di prima.
Ma come è possibile pensare che incontrarsi in migliaia e migliaia di sconosciuti si possano stabilire relazioni significative da determinare un cambiamento? Ma infatti gli organizzatori di questi eventi non lo pensano, quello a cui sono interessati è di veicolare un messaggio che diventa sempre più astratto perdendosi in una sorta di religiosità come la fede in una divinità superiore. Così come facevano i capi dei regimi comunisti: distanza tra chi del lavoro ne parla e chi il lavoro lo fa per davvero.
La differenza con gli anni ’50 sta nel fatto che sempre maggiore è la consapevolezza che il lavoro per alcuni è possibile sceglierlo e determinarlo e non importa che sia flessibile o geograficamente lontano, mentre per molti altri diventa un obbligo, una costrizione. Per alcuni non si tratta di lavoro ma di mestiere ( il lavoro è industriale, il mestiere è artigianale) che attraverso il quale si realizzano e affermano a se stessi e agli altri che esistono, che hanno qualcosa da “dare” al mondo, per molti altri invece il lavoro rappresenta la totale spersonalizzazione di se stessi e serve solo per pagare le bollette, l’affitto, le cambiali, gli alimenti ai figli, ma ne farebbero volentieri a meno.
Cresce anche la coscienza che esiste un blocco sociale e di potere che fa quadrato intorno all’idea che il lavoro “manca”, che si debbano fare solo alcuni lavori, perché altri sono riservati ai gruppi di “comando” e ai loro figli o parenti. E’ di questo che dobbiamo discutere in Italia, ed è su questo che dobbiamo aprire per davvero il conflitto: tra chi tiene ristretto il campo del lavoro “bello” per se e chi invece è costretto a fare qualsiasi lavoro pur di mantenersi.

1 commento:

  1. Ricordo fin da ragazzino quando ero al mio paese in Sicilia i commenti di mio padre, circa il 1... Mostra tutto° maggio ed anche quelli del mio maestro delle elementari. Mio papà faceva riferimento ogni anno alla strage di Portella della Ginestra da parte della banda Giuliano, diciamo che per noi siciliani era come per gli ebrei oggi il mese di Gennaio il "giorno della memoria". Erano gli anni ’60 ed ancora era storia recente quel fatto alla lunga è scemata come credo popolare, oggi i giovani siciliani non sanno neppure chi era Giuliano. Mentre il mio maestro metteva tutto sull'argomento politico, come se si dovesse ringraziare il comunismo per averci dato tale giornata di festa, certo è che le lotte delle associazioni come la CGIL e la CISIL erano una garanzia per i lavoratori e mio padre ricordo che la sua tessera era sempre nel taschino della sua giacca.
    La storia è lunghissima quasi centenaria. Il 1° Maggio nasce come momento di lotta internazionale di tutti i lavoratori, senza barriere geografiche, ne sociali, per affermare i propri diritti, per raggiungere obiettivi, per migliorare la propria condizione.
    Credo che quando si festeggia una cosa si debba sapere il perché credo sia interessante e faccia si che non si perda il valore di alcune ricorrenze in modo da tramandarle poi nel tempo. Ciao a tutti

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