sabato 28 febbraio 2009

Il supermercato della democrazia televisiva

A tutti noi sono noti esempi di uomini politici che appartengono a schieramenti politici opposti e che tuttavia condividono le stesse origini sociali e gli stessi riferimenti culturali, hanno studiato nelle stesse scuole e ricoprono le stesse funzioni. Essi si fanno portatori di differenze politiche che non possono non essere, di conseguenza, del tutto superficiali. I loro punti di vista sono relativamente simili, e i modi in cui si esprime la loro rivalità sono l'effetto della rimozione del conflitto e quindi la loro rivalità di superfice è ignara della profondità del conflitti sociali reali.
Prendiamo in considerazione il "dibattito democratico", così come si svolge sia in pubblico sia in privato. Lungi dall'essere libero da restrizioni, un dibattito, al contrario , non è giudicato democratico se non a condizione di essere strutturato secondo lo schema del "contraddittorio". Nel supermercato delle idee, i consumatori di opinioni devono essere liberi di scegliere l'opinione che preferiscono. Nulla di meglio della contraddizione tra l'una e l'altra tesi, allora, per garantire ai consumatori la loro libertà di scelta. Ma in base a cosa potranno mai scegliere? La semplice contrapposizione non può essere un criterio sufficiente. Che cosa potrebbe spingere a orientarsi in una direzione piuttosto che in un'altra? Uno dei principi sacri del contraddittorio consiste nel sopprimere ogni fattore capace di fare inclinare la bilancia del confronto da un lato o dall'altro: la sacrosanta libertà d'opinione del cittadino, in quel caso, si troverebbe messa in pericolo. Per questo ci troviamo ad assistere tanto spesso alla sterile contrapposizione di opinioni incapaci di esprimere un punto di vista concreto.
Il dibattito, nella forma del contraddittorio, si nutre di opinioni astratte o nel migliore dei casi si neutralizzano reciprocamente. Dal padrone all'operaio, ciascuno avrà le proprie ragioni, e il dibattito non farà altro che consolidare la banalità secondo cui "tutti sono liberi di pensarla come vogliono".
Siamo di fronte ad un rito, legato all'astrazione di fondo su cui è costruito l'intero processo decisionale democratico. E tuttavia un'opinione astratta non è un'opinione. Mentre ogni opinione reale corrisponde a punti di riferimento culturali precisi e ben determinati. Non esiste affatto un punto di vista in base al quale l'operaio e il padrone hanno entrambi ragione. Non esistono prospettive equivalenti, ed è semplicemente impossibile confrontare le opinioni dell'operaio e quelle del padrone in base a uno "stesso punto di vista". Ma una volta costruito questo punto di vista astratto, conforme al principio democratico cui tutte le opinioni si equivalgono, ecco che il conflitto non ha più spazio nè ragione d'essere, e i contrari che rivaleggiano nel dibattito televisivo non esprimono più alcuna contrapposizione reale.
Possiamo concludere che i dibattiti televisivi sono completamente inutili alla determinazione di opinioni concrete, anzi il loro obiettivo, quello si concreto, è la determinazione di opinioni astratte narcotizzando l'opinione pubblica.

domenica 22 febbraio 2009

L'epoca della diffidenza


In una civiltà che non tollera i conflitti se non a condizione di riportarli nel quadro della norma, questa nuova barbarie prende di mira figure dell'"altro" molto diverse tra di loro.
Lo straniero che minaccia le nostre società, l'integralista che mette a repentaglio l'ordine dello Stato, ma anche il salariato in una impresa o il funzionario di una amministrazione che si oppongono alla disciplina e alla "messa in forma" che la cosiddetta "gesione delle risorse umane" impone a tutti noi. O, ancora, l'handiccappato, l'individuo in qualsiasi modo "deviante", il contestatore che rifiuta di costringere la propria denuncia entro forme di protesta consentite dal potere. Insomma tutti coloro i quali sembrano minacciare, con il loro comportamento, la loro stessa "salute" o la "salute" dei loro simili. Tutti coloro i quali si presentano come possibile fonte di caos, dunque di pericolo per l'ordine sociale istituito.
Tradizionalmente, il barbaro è lo straniero che minaccia una civiltà attestandosi sui suoi conflitti. Allo stesso tempo, è l'elemento estraneo che consente alla civiltà di autodefinirsi come tale.
Nel nostro mondo, ormai unificato dall'egemonia dello "stesso", quei confini sono invece sempre meno confini esterni, e sempre più confini interni. Mondo unico e ormai dominante che si va risolvendo via via in un insieme di fortezze in cui vivono gli "inclusi", asserragliati nel cuore dei territori degli "esclusi" in cui prende corpo la paura securitaria dei primi. La minaccia è diffusa, insondabile, dunque interna. Se i paesi del nord del mondo sono altrettante piccole fortezze, all'interno di ciascuna di esse esistono regioni simili a fortezze ancora più piccole, circondate da ancora più piccoli "territori degli esclusi", e ogni uomo e ogni donna tendeno a viversi come microfortezze immerse in inquietanti e microscopici "territori degli esclusi". Infine ciascuno di noi è portato a pensarsi come un territorio in cui nuclei di razionalità e di saggezza vivono l'assedio di pulsioni e passioni non civilizzate. La nostra è l'epoca della diffidenza!!!

martedì 17 febbraio 2009

L'iceberg del conflitto

Siamo eredi di un'epoca che ha creduto nella possibilità di porre fine a ogni forma di conflitto, temiamo profondamente tutto ciò che minaccia le nostre vite e le nostre società. Se potessimo, bandiremmo l'idea stessa di conflitto.
Ed è un compito impossibile oltre che assurdo, perchè il conflitto appartiene alla natura stessa della vita, al divenire delle cose.

Il pensiero moderno lo ha considerato come una dimensione patologica dell'ordine sociale o come strumento temporaneo per rovesciare la società presente con le sue contraddizioni e andare verso una società pacificata. Abbiamo l'impressione, ben nota ai marinai, di navigare con carte ormai inservibili.

Pensavamo di procedere verso territori pacificati, ed eccoci un ritorno di conflittualità, vistoso tanto a livello individuale quanto sociale. Conflittualità dalle forme sinistre, addirittura barbare.

Invece di pensare che il conflitto sia qualcosa di cui dobbiamo liberarci, dovremo considerarlo come una dimensione fisiologica della convivenza: negarlo significa minare le stesse basi della convivenza. In una società differenziata il conflitto è una realtà permanente e la vera sfida è che cosa farne, cioè entro quali limiti esso può manifestarsi e con quali mezzi deve essere affrontato.

sabato 7 febbraio 2009

Libertà, Potere e Società

Quanta libertà abbiamo oggi di esprimere il nostro pensiero? Esiste ancora il pensiero soggettivo oppure, così come cercano di farci credere, esiste solo un unico pensiero dominante e omologante? E il continuare a ripeterci che dobbiamo omologarci al pensiero unico ha ridotto notevolmente gli spazi di potere personale ampliando invece il potere pubblico.
Pensiamo solo come, quella che viene definita la nostra privacy, è invasa tutti i giorni dai nuovi sistemi tecnologici: telecamere sparse in tutti gli angoli della città, cellulari che sono diventati strumenti di individuazione e di controllo di quello che comunichiamo, sistemi informatici che vengono attaccati da agenti esterni a nostra insaputa, sistemi elettronici che rilevano costantemente il consumo personale e la sua qualità nei minimi particolari, anche se in Italia e in Europa ci sono normative che limitano gli spazi di invasione, ma evidentemente il potere non ha nessun interesse ad applicarle. Eppure cresce la nostra ansia, la nostra insicurezza, le nostre paure. Forse dobbiamo iniziare a chiederci perché e a chi fa comodo tutto questo!!!
La libertà, il potere e la società sono temi tra di loro intrecciati, ma se osserviamo la storia dell’umanità, non hanno avuto una evoluzione parallela, cioè più libertà non ha corrisposto sempre a più potere personale o a più società e viceversa. E’ come se questi tre concetti trovano nell’evoluzione dell’uomo un proprio equilibrio lottando tra di loro.
Ma è l’uomo stesso che con il suo agito quotidiano che ne trova l’equilibrio. Ed è sempre l’uomo, in carne ed ossa, che modifica l’equilibrio, intervenendo su uno dei tre fattori: libertà/potere/società e avviando il cambiamento.
http://www.youtube.com/watch?v=ZRTkTQb-wfQ Il potere dei buoni di Gaber