lunedì 26 aprile 2010

Il risorto Risorgimento Italiano

Nell’articolo di Monica Raucci su “Il Fatto Quotidiano” di Venerdì 23 aprile 2010 ho scoperto con mio grande rammarico che Carlo Azeglio Ciampi si è dimesso da Presidente del Comitato dei Garanti per le celebrazioni del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. Dopo le dimissioni di Ciampi sono seguite quelle di Dacia Maraini, Ugo Gregoretti e altri.
Proprio in questi mesi in preparazione di un esame universitario sto studiando il Risorgimento e mai come in questo momento della mia vita ho approfondito così quella fase storica e non possono non fare delle riflessioni sulla politica attuale.
Il nostro governo non solo sbaglia perché non finanzia il programma delle iniziative in ricordo del Risorgimento, ma il problema è di riportare temi che allora come oggi sono ancora aperto sul terreno politico.
Quindi non solo i riti celebrativi, che hanno sicuramente un grande peso nell’immaginario collettivo di un popolo, ma è necessario riaprire il discorso sull’Unità d’Italia e sulle ragioni per cui il nostro popolo mai da allora si è diviso, nemmeno quando alla fine della Seconda Guerra Mondiale nell’Italia del nord c’era la Repubblica di Salò da una parte e dall’altra i gruppi partigiani e nell’Italia del sud c’era il governo Badoglio con gli alleati americani. Nessuno si sognò di tenere l’Italia divisa, anzi costituirono immediatamente dopo il Comitato di Liberazione Nazionale presenti tutti i partiti che uscivano dalla clandestinità con autorità di governo su tutto il territorio nazionale.
Alcuni studiosi sostengono che il Risorgimento nel nostro paese non sia ancora concluso in quanto ci sono temi come l’unità politica ed istituzionale dell’Italia che sono tuttora aperti e messi in discussione da organizzazioni politiche come la Lega che sostiene tesi separazioniste ed antiunitarie.
Ma non possiamo neanche banalmente sostenere come fanno alcuni che il Risorgimento sia stato la semplice estensione da parte del Piemonte e del Regno Sabaudo degli altri territori che erano sotto il dominio di altri Sati come quello del Papa o dei Borboni. Non fu così.
Non fu così, nè per Camillo Benso Cavour che rappresentava l’ala moderata liberale, nè per Giuseppe Mazzini o Giuseppe Garibaldi che rappresentavano l’ala insurrezionalista.
Sia gli uni che gli altri erano fermamente convinti nell’Unità dell’Italia al di là delle diverse posizioni politiche.
Ma allora come oggi, sono rimaste aperte questioni che riguardano l’intera nazione come la questione meridionale e di come si è determinata e trasformata la proprietà privata in quest’area del Paese, affrontata negli anni passati con spessore culturale ma oggi sottaciuta e strumentalizzata dai partiti politici.
Allora come oggi è aperta la questione di come si è affermata alla guida dell’Italia la classe dirigente. Infatti, se confrontiamo i dati sulle professioni emergenti del 1860/61 in poi, risultano ancora importanti professioni come l’avvocato, il magistrato, il notaio, il giornalista, il medico, le quali continuano ad essere ben rappresentate dal sistema politico. Mentre la piccola e media imprenditoria come altre professioni intellettuali sono per lo più inesistenti e ininfluenti sulla scena politica nazionale.
Quindi credo che se vogliamo ripensare alla storia d’Italia, alle lezioni morali che il Risorgimento affidò ai posteri non possiamo non ripensare a come la borghesia italiana si è affermata nel nostro paese e alle differenze con altri paesi come la Francia e la Germania.
La nostra borghesia non è mai stata né intraprendente né imprenditrice di se stessa, ma è stata in gran parte, salvo qualche rara eccezione, parassitaria o al massimo assistita con uno scarso senso della responsabilità sociale e sviluppando anche nelle classi popolari uno scarso senso dello Stato.

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