Si fa un gran parlare di democrazia, ma in effetti non c’è nulla di meno democratico del periodo che stiamo vivendo e pertanto la parola democrazia è diventata una parola vuota di significato usata in tutte le salse per condire un sistema orripilante e repressivo. Ma andiamo con ordine.
Con l’emergere delle forme contemporanee di quella che chiamiamo democrazia, l’uomo “reale” non diventa ciò che sperava di diventare e cioè un individuo sovrano, un cittadino illuminato, un soggetto responsabile della propria vita, ma invece ha dovuto rimuovere la molteplicità che costituiva il tessuto sociale e dell’individuo che ne è una piega e un’espressione. Infatti le comunità che ho osservato, (utilizzo il termine comunità come eufemismo) i cittadini non hanno nessun legame sociale, nessuna relazione sociale significativa tra di loro. E’ stata del tutto eliminata questa dimensione umana, riducendo le comunità a dei territori fatti da abitazioni, strade e luoghi di produzione e di consumo.
Questo primo livello in apparenza sembra tranquillo, ma se lo osserviamo in profondità è il luogo caratterizzato da una perenne e forte conflittualità. Questo luogo non è affatto rappresentato politicamente, mentre la rappresentazione politica corrisponde ad un secondo livello quello della fabbricazione di un uomo astratto senza pulsioni, senza radici. La realtà degli interessi privati corrisponde infine a un terzo livello, quello della macroeconomia che si è sostituita ideologicamente ed oggettivamente al primo livello, quello appunto sopracitato del conflitto sotterraneo mai manifesto.
In questo modo, la ragione economica va ad occupare il posto della realtà complessa e contraddittoria delle nostre società. Ciò spiega il perché il secondo livello, quello politico, vada progressivamente riducendosi a una forma di gestione e di rappresentazione non del livello concreto della conflittualità diffusa e sotterranea, ma delle sfere economiche e dei suoi interessi. D'altronde non sono necessarie analisi politiche e teoriche per confermare questo, ma è sufficiente la percezione di ognuno di noi del divario tra la realtà quotidiana e la sfera politica.
Il trionfo di questo sistema è radicale, in quanto arriva a creare una percezione normalizzata delle cose, una percezione non più ideologica ma come la natura stessa del mondo, come l’essenza dell’uomo. Ovviamente per far ciò è necessaria una folta pletora di esperti nei campi più disparati che governano i mass media e di conseguenza formano l’opinione pubblica, facendoci credere che l’unico e migliore mondo possibile è quello in cui viviamo.
Di fronte ad una situazione di questo tipo non possiamo più essere in una posizione di attesa messianica, ma quotidianamente praticare la propria emancipazione e quelle degli altri camminando. Ed è questo camminare, cioè questo spostarsi nello spazio e nel tempo, che rivitalizza la società attraverso pratiche di contropotere, che rimettono al centro delle nostre analisi e pratiche quel sottostrato contraddittorio e conflittuale del processo materiale definito all’inizio come primo livello.
La via del contropotere è appunto la via del conflitto, e solo attraverso questa via può nascere qualcosa di comune in un gruppo o in una comunità, quindi grande responsabilità hanno tutti quegli operatori socio-culturali che non possono più esimersi da questo compito di rimettere in moto la società anziché narcotizzarla.
Con l’emergere delle forme contemporanee di quella che chiamiamo democrazia, l’uomo “reale” non diventa ciò che sperava di diventare e cioè un individuo sovrano, un cittadino illuminato, un soggetto responsabile della propria vita, ma invece ha dovuto rimuovere la molteplicità che costituiva il tessuto sociale e dell’individuo che ne è una piega e un’espressione. Infatti le comunità che ho osservato, (utilizzo il termine comunità come eufemismo) i cittadini non hanno nessun legame sociale, nessuna relazione sociale significativa tra di loro. E’ stata del tutto eliminata questa dimensione umana, riducendo le comunità a dei territori fatti da abitazioni, strade e luoghi di produzione e di consumo.
Questo primo livello in apparenza sembra tranquillo, ma se lo osserviamo in profondità è il luogo caratterizzato da una perenne e forte conflittualità. Questo luogo non è affatto rappresentato politicamente, mentre la rappresentazione politica corrisponde ad un secondo livello quello della fabbricazione di un uomo astratto senza pulsioni, senza radici. La realtà degli interessi privati corrisponde infine a un terzo livello, quello della macroeconomia che si è sostituita ideologicamente ed oggettivamente al primo livello, quello appunto sopracitato del conflitto sotterraneo mai manifesto.
In questo modo, la ragione economica va ad occupare il posto della realtà complessa e contraddittoria delle nostre società. Ciò spiega il perché il secondo livello, quello politico, vada progressivamente riducendosi a una forma di gestione e di rappresentazione non del livello concreto della conflittualità diffusa e sotterranea, ma delle sfere economiche e dei suoi interessi. D'altronde non sono necessarie analisi politiche e teoriche per confermare questo, ma è sufficiente la percezione di ognuno di noi del divario tra la realtà quotidiana e la sfera politica.
Il trionfo di questo sistema è radicale, in quanto arriva a creare una percezione normalizzata delle cose, una percezione non più ideologica ma come la natura stessa del mondo, come l’essenza dell’uomo. Ovviamente per far ciò è necessaria una folta pletora di esperti nei campi più disparati che governano i mass media e di conseguenza formano l’opinione pubblica, facendoci credere che l’unico e migliore mondo possibile è quello in cui viviamo.
Di fronte ad una situazione di questo tipo non possiamo più essere in una posizione di attesa messianica, ma quotidianamente praticare la propria emancipazione e quelle degli altri camminando. Ed è questo camminare, cioè questo spostarsi nello spazio e nel tempo, che rivitalizza la società attraverso pratiche di contropotere, che rimettono al centro delle nostre analisi e pratiche quel sottostrato contraddittorio e conflittuale del processo materiale definito all’inizio come primo livello.
La via del contropotere è appunto la via del conflitto, e solo attraverso questa via può nascere qualcosa di comune in un gruppo o in una comunità, quindi grande responsabilità hanno tutti quegli operatori socio-culturali che non possono più esimersi da questo compito di rimettere in moto la società anziché narcotizzarla.
Come sempre illuminante! Sei davvero un ottimo osservatore, ma non passivo, perchè poi trovi anche delle vie d'uscita ad alcuni "labirinti". Ultimamente poi mi trovo spesso, in qualche discussione, a citarti per rafforzare le mie tesi! :)
RispondiEliminaConcordo appieno ed è un grosso peso
RispondiElimina.....mi piace assai
RispondiEliminaPur condividendo abbastanza l'analisi mi chiedo come definiresti Paesi come l'Iran o la Birmania se definisci il nostro sistema "orripilante e repressivo"
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