martedì 6 gennaio 2009

Lo sviluppo: un mito del mondo occidentale

Sono due secoli, dalla rivoluzione industriale, che continuiamo a credere nello sviluppo economico infinito del nostro mondo come se fosse una religione nella quale è richiesta la fede e per due secoli abbiamo cercato di esportarlo nell’altra parte del mondo, con metodi che vanno dal colonialismo alla globalizzazione (ancora prima c’erano state le crociate) illudendoci ed illudendo sull’avvento del benessere per tutti.Abbiamo inventato anche metafore del tipo “il decollo dell’economia”, “lo sviluppo durevole”.
Fino a quando continueremo a prendere in considerazione soltanto il PIL (Prodotto interno Lordo) come variabile che ci indica il benessere sociale, non usciremo da questo avvitamento mondiale. E’ necessario iniziare a prendere in considerazione variabili che indicano realmente la felicità dell’uomo, come quello del reddito, la speranza di vita, il livello di istruzione, i costi sociali e ambientali dei trasporti individuali, il valore monetario dei rapporti non mercantili. Ma quali sono stati i costi umani di questo avvitamento? Ma quali sono stati i risultati della credenza nello sviluppo? Il Sud del mondo che noi abbiamo definito sottosviluppato è sempre più povero e il Nord del mondo, in cui noi viviamo, è sempre più sviluppato. Anzi la dicotomia “sviluppati”sottosviluppati” si è trasformata in “inquinati/sottoinquinati”, infatti industrie inquinanti del Nord trasferiscono i loro rifiuti tossici nel Sud.Ma anche in queste due parti ci sono differenze: le classi borghesi nazionali si sono arricchite rapidamente e quelle più povere si sono impoverite. La situazione mondiale sostanzialmente è caratterizzata da miseria e disoccupazione. Questo perché le nostre proiezioni istituzionali a livello di organizzazioni internazionali (vedesi la Banca Mondiale, Fondi Internazionali per la Cooperazione nel Mondo, ecc.) mentre dichiaravano di aiutare i paesi poveri, di fatto aiutavano le classi dominanti di quei paesi ad arricchirsi sempre di più, attraverso una politica di dipendenza in crescendo che ha ridotto i loro bilanci statali all’indebitamento totale con i paesi più ricchi del mondo. Abbiamo creduto e fatto credere che lo sviluppo personale corrispondesse all’arricchimento materiale, all’accumulazione di capitale, alla capacità di saper sfruttare le risorse naturali del nostro pianeta; di fatto abbiamo creato una situazione dove le grandi città metropolitane sono invivibili, creato burocrazie statali con l’unico scopo di auto-riprodursi e dove l’unico rapporto con la gente è quello della repressione, creato gravi problemi all’ecosistema, pregiudicando la possibilità di vita per le generazioni future sul pianeta. C’è un fatto nuovo in assoluto però. Con l’inizio del nuovo millennio nasce la globalizzazione: abbiamo la consapevolezza che lo sviluppo è finito, come sono finiti i paradigmi che reggevano questa credenza, ma è iniziato lo smantellamento delle politiche sociali affidate allo Stato, questo fa sì di aumentare il divario tra i paesi ricchi e i paesi poveri ma anche tra ricchi e poveri di tutti i paesi. La realtà virtuale è diventata un rifugio ancora una volta della credenza dello sviluppo possibile per tutti, ma non possiamo più eludere alla domanda “Che fare?”. Credo che una risposta possibile sia in un proverbio africano: “tu sei povero perché guardi quello che non hai. Vedi quello che possiedi, vedi quello che sei, e ti scoprirai straordinariamente ricco”. Ricorda un po’ quello dei neri che stanchi di essere denigrati hanno proclamato fieramente “black is beautiful”: rivendicare la propria esclusione come condizione necessaria per l’autonomia. Rompere con il modello dominante, come per magia, fa finire la frustrazione provocata dalla impossibile imitazione di uno pseudo-ideale alienante, e le energie che essa aveva finora mobilitate possono essere investite in un processo nuovo: la riscoperta da parte di ciascuno del proprio potere personale. Chi resterà prigioniero dello sviluppo continuerà a misurare tutto con il metro del reddito pro-capite, coloro invece che rompono con questo modello rapidamente accresceranno la loro fiducia in se stessi con la libera iniziativa e ricostruiranno il legame sociale che comporta la solidarietà e il non assoggettamento a nuovi poteri fa emergere nuove possibilità di acquisire nuove risorse.

1 commento:

  1. Caro Luciano,
    io sono una persona che rispetta le idee ed i valori altrui, perché credo che la libertà di pensiero sia una cosa fondamentale, perché è alla base della possibilità di dialogare. Penso pure che occorra confrontarsi al di la della difesa a tutti i costi delle ideologie di partito o di religione, e perciò ho sentito il dovere non solo di leggere la tua opinione ma anche di rispondere perché credo che se hai scritto questo articolo sulla tua bacheca di facebook in fondo volevi che qualcuno ti controbattesse, sarebbe veramente misero pensare solo a trovare appoggi e consensi.
    Vengo al dunque, in risposta al tuo commento, caro Luciano: a parere mio so di certo che non è la costituzione a coprire il malaffare.. al contrario la costituzione fa risaltare di più l’illiceità di poteri ingiusti e le azioni illegali.
    Quando dici: “La Costituzione, appunto un pezzo di carta che non serve più a noi ma ai potenti” questo è pericoloso ed è una affermazione che è contraddetta da un fatto accaduto alcune centinaia di anni prima di Cristo. Se ricordi la rivolta dei plebei contro i patrizi, agli inizi della Roma repubblicana, ... la conquista dei plebei fu la legge Scritta perché in assenza di leggi scritte non si ha alcuna certezza del diritto!!!! Quindi la costituzione è fondamentale per chi non ha potere.
    Le grandi ideologie del novecento hanno scritto la nostra costituzione dopo l’amara esperienza della guerra e del fascismo, mettendoci dentro le aspirazioni più grandi della cultura di quegli anni: la pace, la libertà, l’uguaglianza, la giustizia, cioè i grandi valori della umanità. Che questi valori siano contraddetti da azioni scorrette di tanti non significa che siano sbagliati quei valori.. tanto più è sbagliato imputare alle “scuole” (cattoliche, comuniste, liberali) la degenerazione degli uomini, oltretutto in un momento in cui quelle “scuole” non esistono più.
    Tu dici inoltre che la Costituzione va cambiata a partire dall'art. 1, quella che recita che "L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro", ma dimentichi che questa parte della costituzione non è modificabile in alcun modo, la stessa costituzione lo impedisce. Poi continui parlando del “mito del lavoro“ come fonte di problemi che al contrario non sono generati dal lavoro ma dal “mito del rendimento economico” e del “guadagno immediato”. Mi spiace non potere continuare a ribattere alle tue affermazioni ma quelle che seguono sullo “sbandierare i cambiamenti della Costituzione come strumento politico da parte di chi la Costituzione non l'ha mai rispettata” oppure del fatto che “attraverso la Costituzione c'è stato chi si è arricchito sulla pelle dei cittadini affossandone la libertà “ (di chi stai parlando e a chi parli?) risultano un po’ troppo generiche e più dettate da una rabbia che magari ha mille ragioni, magari che condivido anche io, ma non credo proprio si possano addebitare alla nostra Costituzione.

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