domenica 7 giugno 2009

Terrorismo: solo uno spauracchio

Se oggi il terrorismo è funzionale alla legittimazione di una serie di provvedimenti liberticidi da parte degli stati, è giocoforza constatare che anche i gruppi e gli attentati terroristici hanno subito profonde trasformazioni. Se pensiamo, ad esempio, alla resistenza nei diversi paesi europei durante la Seconda guerra mondiale, è indubbio riconoscere che questa non ha mai utilizzato metodi terroristici, non ha mai colpito alla cieca la popolazione per esercitare una pressione sul nemico.
Pertanto quando osserviamo uno dei tanti conflitti armati tuttora in atto, dobbiamo distinguere tra la resistenza armata che si indirizza a un bersaglio avversario anch’esso armato e l’impiego contemporaneo della violenza su bersagli civili, il cui scopo è appunto quello di far pressioni sul nemico, mietendo vittime in modo del tutto indiscriminato.
Questo tipo di strategia assume la popolazione come pura massa anonima, come oggetto assolutamente passivo. Analogamente il biopotere offre una protezione “anonima” alla popolazione minacciata, chiedendole di “lasciar fare” alle alte sfere in nome del suo bene, vedasi la vicenda della base americana di Guantanamo, nella quale vengono ingabbiati i prigionieri della guerra dell’Afganistan in condizioni disumane e dove a nessuno organismo internazionale è permesso di mettere piede.
La novità del terrorismo moderno è quella di essere profondamente reazionario. Al di là del frasario con cui rivendica i propri atti, il terrorismo pensa dal punto di vista del potere. Chi programma gli attentati terroristici assume la popolazione civile come semplice moneta di scambio, utilizzando la vita delle persone come argomento a proprio favore. Il terrorismo è un’arma reazionaria pensata e impiegata dall’alto di una torre d’avorio: chi la occupa non esita a massacrare migliaia di persone sullo scacchiere del potere internazionale.
Ma l’utilizzo degli attentati terroristici, come arma o come giustificazione di una forma di disciplina sociale, è diventato uno degli strumenti principali di annullamento del conflitto ed è proprio in questo che risiede tutto il progetto reazionario e liberticida. La popolazione occidentale, che ormai è considerata un corpo da sorvegliare, da controllare e da punire, si trova a scegliere da una posizione di passività assoluta quale delle due barbarie in campi sia la meno peggio. C’è sempre un’urgenza che giustifica il controllo disciplinare della popolazione: il corpo sociale è in pericolo, è necessario agire immediatamente e la conseguente azione consiste nella discriminazione, nel disciplinamento, nell’eliminazione dei “devianti” e dei “nemici”. Ma anche se ci poniamo dall’altra parte della barricata la “causa” ha sempre i tratti dell’urgenza: non c’è mai il tempo per organizzare un vero movimento di massa di resistenza, non c’è mai il modo di sviluppare nuove possibilità di conflitto sociale che producano lotta, non si può che adottare la sola via ancora percorribile, quella del terrore della popolazione. Questo tipo di logica, anche se in forma più soft, è stata assunta come meccanismo di lotta politica tra partiti in uno schieramento bipolare che semplifica ed elimina tutte le diversità e le sue possibili rappresentanze politiche e sociali.
In questo orizzonte, in cui il conflitto si è ridotto a scontro frontale, il razzismo diventa la struttura stessa dell’azione: l’altro è sempre un soggetto “non-umano” che va eliminato con ogni mezzo, meritevole di subire la violenza più barbarica in quanto nemico dell’umanità. Tuttavia, quando si inizia a credere che esiste una barbarie buona e una cattiva, quest’ultima ha già vinto la partita. Si abbandona il conflitto per far ingresso in una forma di vita organizzata in funzione dello scontro permanente, in una dimensione di polarizzazione estrema. Ogni pensiero della complessità diventa sospetto, ogni persona le cui reazioni non si riducano a riflessi condizionati, ad automatismi che decidono a priori chi è il buono e chi il cattivo, apparirà incline alla connivenza con il nemico. Quanti si sforzano di pensare in termini più complessi risulteranno pericolosi agli occhi dell’uno come dell’altro versante.
Oltre che degli atti terroristici veri e propri, l’epoca del terrorismo è caratterizzata dalla paura e dall’incertezza da cui ciascuno di noi si scopre in ogni istante assillato. Per questo è particolarmente concreto il pericolo che sia il terrorismo a vincere in ultima analisi la partita. Paradossalmente, la risorsa decisiva per uscire da questa situazione di terrore è quella di rintrodurre il concetto del conflitto nella sua molteplicità e quindi accettare che la guerra e le lotte armate di resistenza ne siano uno dei tanti risvolti.

2 commenti:

  1. Anche io penso che bisogna rimettere al posto che merita la guerra come uno dei diversi possibili conflitti e l'averla negata paradossalmente la soltanto spostata geograficamente altrove, lontana da noi considerandola solo come scontro frontale tra civiltà.

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  2. Non solo, anche la guerra fredda era tutta inventata. AL QUEIDA non e' mai esistita, la guerra fredda nemmeno, ora minacciano governanti con macchine che generano terremoti e tsunami. dal primo gennaio entrera' in vigore la pena di morte in tutta europa attraverso ilò trattato di lisbona, il signoraggio ha permesso che poche decine di banchieri ci rubassero 100mila euro ad ogni residente italiano(bambini,anziani,tutti!),il voto e' una illusione perche' chi comanda veramente sono questi banchieri, l'unica possibilita' che abbiamo e' oreganizzarci attraverso referendum, assemblee di zona e altro per creare una nostra moneta sovrana e per prendere le decisioni politiche.
    Solo noi potremo aiutarci.

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